giovedì 4 luglio 2013

John Locke



John Locke è stato considerato il fondatore dell'empirismo inglese, corrente filosofica che riforma il razionalismo di Cartesio, cercando di fondere esperienza e ragione. Per Cartesio la ragione è una facoltà conoscitiva assoluta che si basa sulla res cogitans. Nacque a Wrington (Bristol) nel 1632. Studiò filosofia e medicina a Oxford. Dal 1667 divenne segretario personale del conte Ashley Cooper e da allora la sua vita fu legata in gran parte alle alterne fortune del suo protettore. Quando Lord Ashley fu definitivamente esiliato per aver cospirato contro il tentativo di restaurazione assolutistico-cattolica di Carlo II, Locke si rifugiò in Olanda. Qui venne in contatto con l’ambiente liberale di Guglielmo di Orange e, quando questi divenne re d’Inghilterra, poté tornare a Londra. Non soddisfatto del nuovo governo, si ritirò a vita privata nel castello di Oates nell’Essex, dove morì nel 1704.


La figura di Locke, con la sua difesa dell’empirismo, rappresenta l’altra grande alternativa dei pensiero seicentesco: da una parte il razionalismo di Descartes (Cartesio, per chi non l’avesse capito, che intendeva la ragione come una tecnica che procede in modo autonomo e geometricamente, cioè utilizzando solo le idee chiare e distinte in un ordine rigoroso), e dall’altra, appunto, la filosofia di Locke e dei pensatori a lui successivi quali Hume e Berkeley. Eppure l’empirismo non voleva negare l’importanza della ragione. Esso sostiene invece che la ragione ha dei poteri, i quali sono però limitati dall’esperienza, intesa, quest’ultima, come la fonte e l’origine del processo conoscitivo, ed anche come il criterio di verità o lo strumento di certificazione delle tesi proposte dall’intelletto, che risultano valide solo se suscettibili di un controllo empirico.


Il capolavoro di Locke, il Saggio sull’intelletto umano (1690), è un esame approfondito delle possibilità conoscitive dell’uomo, ribadendo che la gnoseologia (= teoria della conoscenza) è la parte più importante della filosofia, come è ormai chiaro da Descartes in poi.L’opera si apre con una critica dell’innatismo, cioè contro la concezione che esistano nella nostra mente principi o idee presenti in noi fin dalla nascita.